sabato 31 maggio 2008

Martino Reggiani: uno dei grandi Dilettanti!


foto Raffaele Severi


Vi ho già accennato alla teoria Saviniana del Grande Dilettante!
Oggi ho il piacere di presentarvi un ottimo rappresentante di Grande Dilettante:
Martino Reggiani.

Non vi darò notizie biografiche perchè il Grande Dilettante è sempre uno solo, indipendentemente dal numero delle persone che in ogni tempo e in ogni luogo hanno preso il testimone di questo grande autore e artista Universale, per usare un concetto meravigliosamente espresso dal grandissimo Borges.

Vi lascio qualche poesia e una delle sue canzoni più poetiche...
A voi il sapore!


i valori sono un guerriero
senza tempo nè paese.
gli ideali nascono
per educare una collettività
ai valori.

per l'età stanca del mondo
a volte, ci lasciano per poche ore
per una catarsi di dolore

convinti di riuscire a reggere il nostro pianto.
hanno compreso che è questo soltanto
il nostro vanto.

convinti di riprendere facilmente
le parole che piegano strade
mentre la decaduta retorica
immola così tanti significati
sui propri altari
senza che neanche ci sia un Dio da pregare.

sotto quell'altare.....
abbastanza mani da riempire un popolo
si avvicinano per chiedere il proprio canto
canti pieni di voce
senza più gole dove cadere
sciolti dentro un'esistenza.

Quanta capienza possiede un'esistenza?

ormai solo mondi poco profondi...
e una eternità propria.

ecco la capienza!

ma per noi ora
un valore ha colpito una moltitudine
.......è ideale!
le frontiere sono rotte
popoli interi si sono liberati per incontrarsi

e l'eternità di una esitenza
non è che il margine
di questa nuova intimità.

Martino Reggiani



Avevo tempo
e stavo per mettermi a scrivere due righe
per spiegarvi la mia poesia.
Poi però, è saltata fuori la luna....
ed erano giorni che non la vedevo,sapete?!
una gentile bottiglia di vino si è offerta
di accompagnarmi fuori.
Ha detto
-Ti reggo io le labbra,
mentre tu la guardi!-
...e così, non vi ho scritto niente

Avevo tempo
e stavo per mettermi a scrivere due righe
per spiegarvi la mia poesia.....

...ma sono stato fortunato!

Martino Reggiani




E una delle sue canzoni più famose...



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E per chi volesse sentire tutte le altre sue canzoni non esitate, ve ne prego, ad andare nella sua pagina Myspace.



giovedì 22 maggio 2008

Wislawa Szymborska



La prima fotografia di Hitler


E chi è questo pupo in vestina?
Ma è Adolfino, il figlio del signor Hitler!
diventerà forse un dottore in legge
o un tenore dell'opera di Vienna?
Di chi è questa manina, di chi,
e gli occhietti, il nasino?
Di chi il pancino pieno di latte,
ancora non si sa:
d'un tipografo, d'un mercante, d'un prete?
Dove andranno queste buffe gambette, dove?
Al giardinetto, a scuola, in ufficio,
alle nozze magari con la figlia del sindaco?
Bebè, angioletto, tesoruccio,
piccolo raggio,
quando un anno fa veniva al mondo
non mancavano segni
nel cielo e sulla terra:
un sole primaverile, gerani alle finestre,
musica d'organetto nel cortile,
un fausto presagio nella carta velina rosa,
prima del parto
un sogno profetico della madre:
se sogni un colombo - è una lieta novella,
se lo acchiappi - giungerà a chi hai a lungo atteso.
Toc, toc, chi è?
è il cuoricino di Adolfino.
Ciucciotto, pannolino,
bavaglino, sonaglio,
il bimbetto,
lodando Iddio e toccando ferro,
è sano.
Somiglia ai genitori,
al gattino nel cesto,
ai bambini
di tutti gli album di famiglia.
Beh, adesso non piangeremo mica,
il fotografo farà clic sotto la tela nera.
Atelier Klinger, Grabenstrasse Braunau,
e Braunau è una cittadina piccola,
ma dignitosa,
ditte solide, vicini dabbene,
profumo di torta e di sapone da bucato.
Non si sentono cani ululare
né i passi del destino.
L'insegnante di storia allenta il colletto
e sbadiglia sui quaderni.



Un piccolo spunto meraviglioso della grande poetessa polacca, premio Nobel 1996.
In altre parole: la banalità del male, una lezione da non scordare mai, per noi e soprattutto per l'insegnante di Storia!



L'Elogio della Mosca



ENCOMIO DELLA MOSCA.

La mosca non è il più piccolo de’ volatili, se si paragona alle zanzare, ai tafani, e ad altri più tenui insetti; ma di tanto è maggiore di questi, di quanto è minore dell’ape. È alata non come gli altri, che hanno piume per tutto il corpo, e penne più forti per volare, ma come i grilli, le cicale e le api. Ha le ali d’una membrana tanto più dilicata delle altre, quanto una veste indiana è più sottile e morbida d’una greca; e di color cangiante, come i pavoni, se si guarda bene quando si compiace di sciorinarle al sole. Vola non come i pipistrelli sbattendo l’ali continuamente, nè come i grilli a salto, nè come le vespe con violenza e stridore, ma piegasi facilmente per ogni verso che vuole nell’aere. Ed ha ancora un’altra cosa, che non vola in silenzio, ma fa un certo suono, non acerbo come quello delle zanzare e dei tafani, non ronzante come delle api, non pauroso e minaccioso come delle vespe, ma di tanto più melodioso, di quanto il flauto è più soave della tromba e dei cembali. Dell’altre parti del corpo la testa piccolissima è attaccata al collo, e gira intorno, e non è fissa come quella dei grilli; gli occhi sporti in fuori, e molto simili al corno; il petto ben formato, donde si spiccano i piedi, non molto stretti come quei delle vespe; il ventre è munito anch’esso, come una corazza, di larghe fasce e di squame. Si difende non con la coda, come la vespa e l’ape, ma con la bocca, e la proboscide, che ha come quella dell’elefante, e con la quale si pasce, e piglia, e si attacca, e ci ha come una ciotoletta alla punta: da questa esce un dente, con cui punge, e poi beve il sangue: beve anche il latte, ma il sangue le è dolce, ed ella non fa punture molto dolorose. Ha sei piedi, e cammina con soli quattro, usando de’ due davanti come di mani: ed è bello vederla camminare su quattro piedi, portante tra le mani sollevata qualche briciola, proprio a guisa umana e come facciamo noi. Nasce non così come è, ma prima verme, da cadaveri di uomini e d’altri animali; indi a poco spicca i piedi, mette l’ali, e di rettile diventa volatile: ingravida, e partorisce un picciol verme, che dipoi è mosca. Vivendo in compagnia degli uomini, nella stessa casa, alla stessa mensa, si ciba di ogni cosa, tranne l’olio, che è la sua morte, se ne beve. Ed essendo di corta vita (chè brevissimo spazio l’è assegnato a vivere), vuole stare sempre in piena luce, e farvi tutti i fatti suoi. La notte sta cheta, e non vola, nè ronza, ma per paura si raccoglie e non si move. Di accorgimento posso dire che ne mostra assai quando sfugge il suo insidiatore e nemico, il ragno; il quale l’apposta, ed essa lo guarda di fronte, declinando l’assalto, per non essere presa nelle reti, nè cader tra le branche di quell’animaletto. Del suo coraggio e della sua forza non dobbiamo parlar noi; ma il più magnifico dei poeti Omero, volendo lodare un fortissimo eroe, non lo paragona per forza al leone, al pardo, al cinghiale, ma alla mosca, per l’ardire e l’intrepidezza e la perseveranza del suo assalto: e dice ardire non temerità; chè scacciata, dic’egli, non vassene, ma pur torna al mordere.
Tanto si compiace di lodare la mosca, che non una volta sola nè in poche parole fa menzione di lei, ma spesso, ed il verso si abbellisce quando ne ricorda. Ora descrive uno sciame di mosche che vola sul latte: ed ora quando Pallade svia la saetta da Menelao acciocchè non lo colga in parte vitale, rassomigliandola ad una madre che veglia sul suo pargoletto dormente, ei porta un’altra volta la mosca per paragone. E dice anche bellamente che esse vanno in serrate frotte, e i loro sciami chiama genti. Tanto poi è gagliarda che quando morde, trapassa non pure la pelle dell’uomo, ma del bue ancora e del cavallo, e fa male all’elefante entrandogli tra le rughe, e con la sua proboscide, secondo la sua grandezza, offendendolo. Nel mescolarsi e congiungersi sono liberissime: e il maschio non come i galli monta e scende subito, ma resta molto tempo a cavallo alla femmina; ed ella porta il marito, e insieme volano per l’aria così congiunti senza che il volo li disturbi. Se le mozzi il capo, la mosca vive molto col resto del corpo, e respira. Ma la più gran cosa che è nella sua natura voglio dirla io, perchè mi pare che Platone questa sola cosa trascurò nel suo discorso su l’immortalità dell’anima. La mosca morta, sparsavi cenere sopra, risuscita, si rigenera, e rivive un’altra vita da capo; cosa da persuadere tutto il mondo che l’anima anche delle mosche è immortale, perchè ella ritorna, e riconosce, e suscita il corpo, e fa volare la mosca; e cosa che fa tenere per vera la favola di Ermotimo di Clazomene, il quale aveva una specie di anima che spesso lo lasciava, e se n’andava pe’ fatti suoi, poi tornava, rientrava nel corpo, e faceva rizzare Ermotimo.
La mosca oziosa e scioperata fruisce delle fatiche altrui, e da per tutto trova mensa imbandita: le capre sono munte per lei, l’ape lavora per lei come per gli uomini, e i cuochi per lei condiscono le più savorose vivande, che ella assaggia prima dei re, e aggirandosi su le mense, banchetta con loro e gusta di ogni cosa. Covo o nido non fa in un luogo, ma col vagante volo va errando di qua e di là, a guisa degli Sciti, e dovunque la notte la sorprende, quivi fa casa e letto.
Intanto all’oscuro non fa niente, come ho detto, nè facendo cosa suole nasconderla, nè crede turpe ciò che fa in piena luce. Conta la favola che una volta c’era una donna chiamata Mosca, assai bella, ma ciarliera, chiacchierina, e canterina, e rivale della Luna, che tutte e due erano innamorate d’Endimione. E poi perchè quando il garzone dormiva ella lo svegliava continuamente ruzzando, cantando, ballando, quei se ne sdegnò, e la Luna che l’odiava la mutò in mosca: e però essa ora rompe il sonno a tutti quei che dormono, ricordandosi ancora di Endimione, e specialmente ai più giovani e più delicati. E quel suo mordere, e quel suo desiderio di sangue non è ferocia, ma segno di amore che porta ai giovani, dei quali ella gode come può, e ne sfiora la bellezza. Fu ancora negli antichi tempi una donna di questo nome, poetessa, molto bella e savia. Ed un’altra cortigiana famosa in Atene, della quale il comico poeta diceva: Questa Mosca gli ha morso proprio il cuore.
Così la comica leggiadria non isdegnò, e la scena non ributtò il nome della mosca: nè i
genitori hanno a vergogna di chiamare così le loro figliuole. Anzi con grande lode la Tragedia
ricorda della mosca in quei versi:

Oh che brutta vergogna! Anche la mosca
Con forte petto salta addosso all’uomo,
Ghiotta di sangue; e voi uomini armati,
Voi sbigottir delle nemiche lance!

Avrei molte cose a dire di Mosca la Pitagorica, se la sua istoria non fosse nota a tutti. Ci sono ancora alcune mosche assai grandi, che alcuni chiamano soldatesche, ed altri canine: fanno un asprissimo ronzio, ed hanno un volo velocissimo; vivono lungamente, e durano tutto l’inverno senza cibo, standosi attaccate specialmente alle soffitte. Una cosa è maravigliosa in queste, che esse fanno insieme e da maschio e da femmina, e montano ciascuna alla sua volta, come quel figliuolo di Venere e di Mercurio, che aveva doppia natura e doppia bellezza. Molto altro avrei da dire, ma basta qui, per non fare, come dice il proverbio, d’una mosca un elefante.

Luciano di Samosata scrisse questa piccola orazione per dimostrare che poteva parlare di qualunque cosa e far apparire bella anche una bestiola disprezzata da tutti in tutti i tempi.
Non so se funzionerà con voi, cari amici lettori, ma per me non è più stato possiblie guardare una mosca senza pensare, almeno per un attimo a questa storiella.

La traduzione è di Luigi Settembrini è splendida. Ricordiamoci che fu scritta in carcere durante la restaurazione borbonica fra il 1851 e il 1859! Per chi amasse questi autori c'è un libro imperdibile e ormai introvabile che unisce le traduzioni di Settembrini alle note e introduzioni di Alberto Savinio. Settembrini, Luciano e Savinio... i fantastici tre! É in questo libricino che Savinio delinea la sua teoria sul Grande Dilettante, della quale un giorno vi parlerò senz'altro!


venerdì 9 maggio 2008

Arte di vaso o vaso d'arte?

Nell'ultimo viaggio a Gand davanti ad un ristorante c'era uno strano essere seduto sulla soglia.
Essere simpatico e senza pretese estetiche.
Eccolo qui:




Giorgio Massari e la sua scala...


Un piccolo spunto architettonico.
In una visita a Venezia mi sono imbattuto in una scala meravilgiosa.
La foto non è molto bella, a causa delle difficili condizioni e della mancanza di mezzi tecnici adeguati.
L'architetto è Giorgio Massari (1687-1766) esponente importante del tardo barocco veneziano e la scala si trova nel complesso degli Artigianelli, di fianco alla chiesa dei Gesuati, sul canale della Giudecca.

Foto di Raffaele Severi

L'etimologia della settimana 7: Calendula


Circa l'etimologia del nome "calendula" ci sono diverse scuole di pensiero: c'è chi sostiene che il nome derivi dal latino "calendae=primo giorno del mese" per indicare che fiorisce il primo giorno di ogni mese per buona parte dell'anno (in senso figurato, vale a dire che fiorisce tutti i mesi). Un'altra scuola di pensiero sostiene invece che derivi da "calendario" poichè segna il ritmo del giorno aprendosi al mattino e chiudendosi al calar del sole e per questo motivo nei testi medievali si chiamava "solis sponsa = sposa del sole".

Foto di Raffaele Severi

Un mondo di colori!


Cari amici,

Immaginate un mondo a colori dove ogni casa possiede un colore sgargiante differente da quello delle case vicine.
In francese "colore" è una parola femminile, e forse è più giusto perchè il colore feconda e fa partorire i nostri occhi, i nostri sguardi e le nostre vite così spesso in bianco e nero.

Burano mi ha regalato generosamente queste imagini e questa piccola riflessione, e io la rimetto a voi così come è arrivata!









Foto di Raffaele Severi